Descrizione
Partendo dai maestri del nostro Rinascimento, Cristaudo esplora Manet, Chagall, Magritte, fino a certe realizzazioni iperrealistiche che rinviano a modelli contemporanei, ma dal nostro artista autonomamente conseguite, risalendo a agni-zioni familiari. Per questa strada si comprende come sia stato possibile, per l’arte di Alfio Cristaudo, attingere e poi tornare, con maggiore o minore assiduità e urgenza, alle fonti della pittura fantastica, da Bosh, Blake e Füssli fino a Odillon Redon e a Savinio.
I canoni della pittura come miti del tempo in cui viviamo e le immagini ricorrenti o effimere cristallizzate in sedimentazio-ni congenite sono fatti passare da Alfio Cristaudo attraverso il bagno acido e rigenerante delle tinte più caustiche. In Cristaudo, tutto è movimento, ma tutto è già pieno all’inve-rosimile, stipato in una profusione magmatica e di per sé ipnotica. Come un futurismo saturo e fissato al suo idolo, la velocità, l’inerzia e l’assenza di moto si propagano in una danza carnascialesca in cui tutto è in sé e fuori di sé, insieme, centro d’irradiazione e irraggiungibile confine del logos.